24 sett 2011
Spedizione sul Monte Freddone sulle Alpi Apuane alla scoperta di un Dolmen unico nel suo genere. La spedizione composta da Enrico Calzolari, Paolo Maggiani, David Benfatto, Cesare Dellamico, si è compiuta il 24 settembre 2011 nel pomeriggio sera
Partecipanti alla spedizione:
Enrico Calzolari, Paolo Maggiani, David Benfatto, Cesare Dellamico,
Inizio risalita 15:30 circa
In osservazione dalle 16:00 alle 18:30 (circa)
link specifici:
http://www.enricocalzolari.it/paleoscienzefreddone.html
Nelle Alpi Apuane, alle pendici del Monte Freddone, è stata casualmente scoperta dal giovane Iann di Clemente una struttura dolmenica, su un dirupo, lontana dal sentiero che porta alla vetta del monte. Di questo vennero informati i colleghi Luisa Collorafi, Marco Girlando e Lorenzo Pecunia, il fotografo del gruppo, che ha realizzato immagini stupende della struttura.
Poiché venne ipotizzato che la struttura dolmenica fosse orientata, chi scrive decise di effettuare l’osservazione all’equinozio, notando che il Sole tramontava proprio sulla cima del Monte Altissimo. Non solo, ma la luce illuminò pienamente la camera interna della struttura dolmenica con effetti spettacolari. Si noti che, oltre all’allineamento astronomico, vi è anche l’allineamento geografico con le cime dei Monti Ronchi e Altissimo, per cui si deve ipotizzare che l’allineamento possa aver
avuto un significato doppiamente sacrale, similmente a quanto avviene per il Monviso (mons a soli visu), cima sacra degli antichi Liguri.
Il dolmen è posizionato a 42:02:53,6 N – 10:17:03 E con elevazione di metri 1353 s.l.m..
Parole chiave: Osservazione Allineamento Geografico; Osservazione Equinoziale
Analisi del sito di Enrico Calzolari
Il Monte Freddone è uno dei monti meno noti delle Alpi Apuane. È infatti posizionato al centro di una conca ed è circondato da cime più alte, per cui non è visibile dal mare. L’etimologia deriva quindi dall’inversione termica dovuta alla difficile penetrazione della luce del Sole nelle valli che lo circondano. Il nome più antico era Lievora. Questo toponimo, unitamente a Levigliani, farebbe supporre la successiva presenza nelle Apuane della tribù ligure dei Leivi, attestata presso Chiavari, ove recentemente è stata scoperta la miniera preistorica di rame di Libiola (3 100 B.C.).
L’interesse degli uomini della preistoria per questo monte nasce però dalla sua natura geologica, che presenta tracce di minerali di rame, ferro, mercurio, argento, bario e cinabro. La ricerca del prezioso minerale di rame deve aver attratto gli antichi prospettori minerari, e la loro frequentazione della Lunigiana è certamente antichissima, anche se è continuata in epoca del Bronzo, come zona di transito dai passi dell’Appennino Tosco-emiliano verso Piombino, ove si trova l’unica miniera di stagno d’Italia, la miniera di Monte Valerio, detta delle Cento Camerelle. I reperti bronzei trovati nei depositi al di qua del fiume Po presentano infatti, alle analisi di microchimica, percentuali di stagno che superano quelle che presentano i bronzi dei depositi posti al di là del Po, fusi con lo stagno delle miniere della Svizzera e della Carinzia. La Lunigiana è stata abitata da prima dell’età dei metalli anche da parte dell’uomo di Neander, i cui resti sono stati trovati nelle Grotte di Equi (Massa) sia nelle fasi successive, proprio per la percorribilità dei suoi passi. Stupisce alquanto che fino alla Mostra di Palazzo Grassi sui Celti (Venezia, 1991) si negasse, da parte dei detentori della cultura ufficiale, che i Boi avessero varcato i passi dell’Appennino. La prima ammissione di ciò si può leggere infatti nel catalogo Bompiani relativo a quella mostra. Pochi sanno che la parete levigata dai ghiacci posta alla latitudine più inferiore è proprio quella della Valle di Equi, il che significa che più a sud il terreno era libero dai ghiacci. Quindi la presenza umana nell’enclave delimitata dal Golfo di Biscaglia, dal Golfo del Leone e dal Golfo Ligure è stata possibile per l’influsso degli elementi marini, che mitigavano il freddo dell’epoca glaciale. Non c’è quindi da stupirsi se nelle pendici del Monte Freddone esista questo splendido manufatto, che non si può indicare come dovuto a fenomeni di frana o di slittamento per l’elevata pendenza del sito, per cui un qualsiasi movimento della tavola avrebbe procurato fratture agli ortostati, che all’osservazione diretta risultano integri e ben sagomati per avere una perfetta aderenza delle superfici di contatto.
Considerata la presenza del minerale di rame, che aveva indotto anche il Marchese Ginori a creare una miniera per l’estrazione di detto minerale ancora nel secolo XVIII, mentre miniere più piccole si ritiene fossero etrusche, si ipotizza che l’interesse per la montagna del Freddone possa aver permesso ai prospettori minerari l’osservazione di fenomeni astronomici in periodo equinoziale. Ciò sarebbe avvenuto in concomitanza con l’osservazione dell’allineamento geografico della cima del Monte Ronchi con il Monte Altissimo, sacro per avere una conformazione fallica. Si noti come nelle Apuane vi sia una cima di eguale conformazione, denominata Monte Sagro, dalla quale è possibile osservare il Monviso, monte sacro degli antichi Liguri. Considerata questa primitiva attenzione alla doppia sacralità di forma e calendariale (con riferimento ai riti dell’equinozio, promulgatori del senso di equità e di giustizia attraverso la semplificazione della bilancia a due braccia fatta a modo di T) potrebbe essere stato molto interessante – per i nostri progenitori – costruire una struttura per l’osservazione dei fenomeni suddetti, legati alla semantica della lettera Tau, derivante dallo strumento di osservazione astronomica fatto a T, cioè uno gnomone che porta all’estremità un’asse trasversale orizzontale (nella mummia di Tutankhamon era stata applicato un amuleto in metallo a forma di T, a Göbekli Tepe sono emersi megaliti a forma di T, come successivamente lo si può osservare nelle Taule delle Baleari).
Noi, oggi, abbiamo a disposizione strumenti di analisi per cercare di ricostruire la situazione astronomica al momento della frequentazione del sito. Secondo i pochi dati a disposizione si può ritenere che ciò sia avvenuto nel III Millennio a. C., in conseguenza delle migrazioni che dall’India si sono spostate verso occidente, cioè verso l’Europa (in Sanscrito Ereb, cioè dove il Sole tramonta). Ciò per problemi di siccità, che costringevano le mandrie a ricercare erba in direzione del piovoso clima atlantico. A sostegno di questa ipotesi sta il fatto che Luni, la città prima etrusca e poi romana, ha il nome eguale ad una città della valle dell’Indo, e in questa valle scorre un fiume chiamato Luni, che non si getta nell’Indo, ma in un deserto, creando numerosi acquitrini. Un’altra Luni si rinviene in Toscana sul fiume Mignone. Da questa semantica deriverebbero anche i nomi di Populonia (pup-loon) e Vetulonia (vet-loon) che esistevano in ambiente di acquitrini, ed è anche logico derivasse la stessa Londra (loon-dunum). La prova archeologica di questa ipotesi è fornita dal petroglifo rinvenuto nel Sentiero 118 CAI di Lunigiana, che si ritrova eguale nel sito sacro di Vijaianagar (Distretto di Hampi – India centrale). Questo petroglifo contiene la losanga, affiancata dai due tridenti di Shiwa, il templum, l’angolo e la verga da rabdomante a rotazione verticale, strumento possibile a costruirsi solo con la metallurgia del rame. Questa petroglifo è stato analizzato dal prof. Roberto Chiari dell’Università di Parma, ed è risultato che sia stato inciso con il diaspro della miniera di Maissana (Val di Vara) il giacimento più grande del mondo, e rifinito con calcedonio (nel 1996 mancava un riscontro nella banca dati di miniere italiane). Comunicazione di questa scoperta è stata fatta al Valcamonica Symposium 1996.
Le acque del Monte Freddone.
In antico vi scaturivano molte acque, di cui ha scritto anche il Targioni-Tozzetti (“una delle quali cammina verso Ponente, una verso settentrione, ed una verso Mezzogiorno”). Due di questi corsi d’acqua hanno nome “Canale del Freddone” e “Canale delle Fredde”.
Prime osservazioni astronomiche.
Attraverso la differenza di altezza e la distanza si può calcolare l’angolo di elevazione fra il sito della struttura dolmenica orientata e la cima del Monte Altissimo: metri 1589-1353/3900 = 0,0605 = 3° 27’ (funzione trignonometrica naturale seno). La distanza di metri 3900 è stata ottenuta comparando le coordinate di Gauss-Boaga dei Monti Altissimo e Freddone, che risultano:
Monte Altissimo = 1598930 E – 4878440 N
Monte Freddone = 1602830 E – 4878510 N
1602830 – 1598930 = 3900 metri.
Le due cime sono pressoché posizionate alla stessa latitudine, in quanto la differenza risulta di metri 70 (4878510 – 4878440). Gli antichi osservatori non disponevano dei nostri strumenti e quindi non erano in grado di utilizzare piccole differenze di misure d’arco, valutabili in secondi.
Fonti informative: Enrico Calzolari,
S.I.A. – Società Italiana di Archeoastronomia – XI Convegno Annuale – Bologna 28/29/30 ottobre 2011
Enrico Calzolari – associazione ligure sviluppo studi archeoastronomici (A.L.S.S.A.) – Il dolmen del Monte Freddone.
- Aperture: ƒ/8
- Credit: Paolo Maggiani
- Camera: NIKON D700
- Copyright: © Paolo Maggiani – www.paolomaggiani.it
- Focal length: 20mm
- ISO: 200
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